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2024-02-06

La bellezza d'essere podcast. Atto Terzo

Emmanuel Exitu

Sul Corriere della Sera siamo arrivati alla terza stagione con il podcast di successo Le Figlie della Repubblica della Fondazione De Gasperi. Nato da un'idea di Martina Bacigalupi il podcast è stato scritto, diretto e prodotto da noi di WIP Italia: ho quindi avuto il piacere di dirigere e scrivere con la supervisione storica del prof. Antonio Bonatesta, perché fosse poi narrato dalla voce del noto giornalista Alessandro Banfi.

Fin dalla fondazione di WIP Italia ci siamo occupati anche di contenuti ma quando nel 2017 il team si è rafforzato con il mio ingresso come Head of Content lo storytelling è diventata una attività ricca e continuativa. Abbiamo quindi curato contenuti e narrazioni per siti e per i piani editoriali degli account social, creando articoli e video. Approdare al podcast è stato naturale, considerando la spinta che questo media ha avuto negli ultimi tempi: già nel 2021 14 milioni di italiani ne hanno ascoltato uno con una media di ascolto tra i 20 e i 30 minuti al giorno e i dati continuano a crescere. Un'occasione nata grazie alla Fondazione De Gasperi, che ci ha affidato la produzione "chiavi in mano".

Il podcast racconta le grandi figure della nostra Repubblica secondo un punto di vista familiare e intimo: quello delle figlie. 

In questa stagione i protagonisti sono Tina Anselmi nei ricordi della nipote Emanuela Guizzon, che ha vissuto a lungo con lei; Ciriaco De Mita, raccontato dalla figlia Antonia; Carlo Donat-Cattin, narrato dalla figlia Maria Pia; Benigno Zaccagnini, nelle parole della figlia Livia; Miriam Mafai, nei ricordi della figlia Sara Scalia e Sandro Pertini, raccontato dalla nipote Diomira. 

Nella prima serie del podcast Maria Romana ricorda Alcide De Gasperi, Serena ripercorre la vicenda di Giulio Andreotti, Flavia Piccoli Nardelli racconta Flaminio Piccoli, Chiara evoca la figura di Pietro Ingrao e Stefania rivive la vita di Bettino Craxi. Nella seconda serie Anna Maria Cossiga racconta il padre Francesco, Luisa parla del padre Ugo La Malfa, Rosa Russo Jervolino racconta la madre Maria, Antonio Giolitti è rievocato dalle parole della figlia Rosa e infine Marina parla di Amintore Fanfani. Questi grandi personaggi sono innanzitutto persone, esattamente come noi, uomini e donne che da schieramenti diversi hanno lottato, sofferto e amato, mettendo al servizio del Paese la loro passione e i loro ideali. Attraverso queste vite scopriamo qualcosa che può aiutarci a leggere anche il nostro presente, perché mostrano come il coraggio di lottare per i propri valori e di dialogare con gli avversari rende capaci di costruire la rinascita del proprio paese.

Un esempio di storytelling design

È stata un'avventura piena di passione e di soddisfazione, che ha trovato un apprezzamento molto superiore alle aspettative con ascolti sorprendenti e recensioni favorevoli, e stiamo già lavorando alla seconda stagione della serie. Credo però che la passione sia solo uno degli elementi che hanno generato una buona riuscita; l'altro elemento è stato il metodo di lavoro e la comunicazione continua con tutti gli attori in gioco.

Non basta la buona idea, non bastano gli esperti, non basta il buon racconto: bisogna avere cura dell'armonia generale del progetto, interpretare e concertare chi ha avuto l'idea e coordina il piano generale, chi definisce i contenuti, le diverse professionalità, le testimoni, il racconto, il ritmo narrativo, il montaggio. Questa cura dell'armonia generale è ciò che definiamo storytelling design.

Non basta la buona idea, non bastano gli esperti, non basta il buon racconto: bisogna avere cura dell'armonia generale del progetto...

Obiettivo e metodo

Il compito che ci ha dato la Fondazione De Gasperi era doppio: rispettare la correttezza della ricostruzione storica, realizzata da un team di giovani appassionati alla politica diretto dal professor Bonatesta, trasformandola in un “racconto vivo” che trovasse l'equilibrio tra l'onda delle memorie personali e i punti fermi della storia condivisa.

Come responsabile dello storytelling, mi sono fatto guidare da una sorta di ossessione: rispettare il mondo evocato dal titolo, la dimensione delle “figlie”, cercando un tono, uno stile, un ritmo di racconto che restituisse innanzitutto la loro voce così com'era affiorata nei nostri incontri. L'esperienza nel campo dei documentari e della sceneggiatura ha favorito questo lavoro di facilitare il racconto personale, naturalmente più caldo: durante gli incontri con le figlie, infatti, ho usato il lavoro degli storici come canovaccio, come una sorta di disegno generale che dettava gli snodi fondamentali della storia, com'era giusto che fosse; volevo però che l'interpretazione e lo svolgimento del racconto fossero realizzate direttamente dalle figlie. Soprattutto per questa ragione non ho condotto la classica intervista “domanda-risposta”, ho cercato invece di stabilire un vero e proprio dialogo, una conversazione aperta a tutte le suggestioni che la memoria personale proponeva – ne sono successe delle belle.

Una scrittura particolare

In questi casi, molta parte della scrittura avviene in montaggio, perché dagli incontri si porta a casa molto materiale che deve essere studiato, selezionato e poi montato per realizzare la forma finale del racconto.

Un lavoro delicato, da condurre con rispetto per la testimone che ha accettato di condividere con noi una parte importante della propria vita, restando vigili sulla necessità di arrivare a una sintesi efficace dal punto di vista del "formato podcast" ma che rispettasse lo spirito del racconto originario. Questa è la parte più difficile, che richiede il maggiore impegno ma che dona più soddisfazione: ascoltando il risultato finale, tutte le protagoniste hanno percepito innanzitutto il rispetto della loro memoria, e nessuna ha chiesto variazioni.

Non dovrei dirlo, ma per me questo era fondamentale quasi quanto la soddisfazione del cliente, la considero una 'stelletta' che ho appuntato sul mio curriculum interiore (tutti ne abbiamo uno, oltre a quello che mettiamo su Linkedin, il curriculum 'affettivo' che riporta i momenti più esaltanti e quelli più difficili del nostro percorso professionale).

Un lavoro pericoloso

È stato insomma un viaggio rischioso ma esaltante, perché volevo che il racconto corresse su quella terra di confine che c'è tra Storia e Memoria, tra storiografia e testimonianza (nota a margine che non si può approfondire qui, ma in queste coppie non è assolutamente scontato che un polo sia più oggettivo dell'altro, dipende sempre dall'approccio, e comunque non si muovono mai separatamente l'una dall'altra). Una corsa rischiosa perché occorre bilanciare accuratamente i pesi. Come si sa, la ricerca del giusto mezzo è sempre un'avventura rischiosa che si può affrontare solo in dialogo con i compagni di viaggio, e le riunioni di preparazione e di verifica in corso d'opera sono state uno stimolo pieno di sfide.

Per creare il raccordo tra le parti storiche e la memoria abbiamo usato una voce narrante. Per questa parte così delicata ho chiamato Alessando Banfi, giornalista di lungo corso sia della stampa che della televisione che apprezzo per la passione lucida per la realtà, che non si appanna mai. In questo caso, la scrittura del testo avviene prima di entrare in sala di registrazione, ovviamente, con l'obiettivo di tenere un ritmo narrativo ingaggiante, chiaro e attento alle sfumature. Ma la sfida vera comincia in sala, per trovare la massima naturalezza di racconto: e non stiamo parlando di interpretazione da attori, stiamo parlando di un'altra cosa.

Il segreto di un buon podcast? Nascosto in bella 'vista' (ehm...)

Nella produzione di un podcast, infatti, credo sia questo il passaggio più impegnativo, la ricerca più approfondita da fare. Creare un podcast non significa scrivere un testo e poi accendere il microfono per leggerlo. È un processo molto più complesso e delicato di così: bisogna invece arrivare a un tono di racconto nel quale le parole coincidono con la voce, proprio come se venisse detta nel momento in cui ascolti. Non deve essere letta, deve essere detta: in questa sfumatura – minima soltanto in apparenza – c'è la chiave per realizzare un “buon podcast”.

È un segreto nascosto in bella vista (sì, ok, stiamo parlando di podcast, ma la citazione vale lo stesso). Si tratta in fondo di dire soltanto quello che si è, in modo autentico. Però, come tutti sappiamo, essere autentici non è sempre immediato – anzi, spesso è la cosa meno immediata di tutte.

Lo vediamo nei vari progetti di podcast che stiamo seguendo, vale per tutti i generi: per i prodotti culturali, per le aziende orientate ai consumatori finali, per il B2B. Anche questi per funzionare davvero mostrano le stesse esigenze di un podcast culturale e/o artistico: il materiale da comunicare è molto tecnico e richiede una grande specializzazione, ma in realtà resta necessario trovare la voce giusta per far percepire il valore, la qualità e la passione che stanno dietro e attorno alla fornitura di un prodotto o di un servizio.

Il nostro lavoro quindi consiste nel tirare fuori l'autenticità della passione che muove un'azienda, trovando il giusto equilibrio tra “ragione e sentimento”. Il racconto non deve essere soltanto efficace. Deve essere vero.

Bello farsi sentire

Quello che abbiamo scoperto è che il podcast è un “creatore di spazi emotivi”. Il fatto di usare la voce come strumento principale crea uno spazio più diretto e più intimo, nel quale è più facile costruire una relazione di fiducia con chi ti ascolta.

È più intimo di qualcosa che si vede e diverso da qualcosa che si legge: proprio come avviene in un dialogo tra persone, è lo spazio per chi ha qualcosa di autentico da dire.

È bello farsi sentire così, no?



WIP Italia

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