Il più grande rischio della Rete.
A scuola per una lezione non convenzionale.
A fine novembre mi arriva un messaggio su Whatsapp: "Ciao, ho bisogno di una mano: mi daresti qualche spunto? Oppure... perché non vieni tu a tenere una lezione alle mie prime?". A scrivermi è Martina, carissima amica, professoressa in un istituto professionale. Non è la prima volta che qualcuno mi chiede di andare in aula. Di solito accetto volentieri, chiamato a parlare del mio lavoro, delle nuove professioni legate al web, della mia avventura imprenditoriale...
Ma è la prima volta che mi chiedono esplicitamente di parlare dei "rischi della Rete". Tentenno un attimo. Tra qualche "uhm" e qualche accenno alle mie giornate piene di impegni cerco di prendere tempo. I rischi della Rete? Sinceramente di andare in aula a fare la faccia "brutta" con dei ragazzini proprio non me la sento. Penso tra me che sarebbe come chiamare un pilota di Formula 1 a mettere in guardia i neo-patentati sui rischi alle alte velocità. Poi mi viene in mente che in effetti la guida di un pilota è più sicura di quella di chiunque altro e che la conoscenza del mezzo lo rende indubbiamente credibile nel mettere in chiaro aspetti positivi e rischi connessi. Martina mi incalza: "Ti andrebbe?"
"Sì" le scrivo, "ma io amo il web... e il mio lavoro. Ai ragazzi dirò sicuramente che la Rete è una figata. È uno strumento molto potente e come tutte le cose occorre conoscerlo, nel bene e nel male, e usarlo al meglio". La reazione è immediata: "Perfetto!"
Nei giorni successivi cerco di mettere giù le idee. Non riesco a non partire dal positivo. Non riesco a "tradire" Internet, verso cui sento un debito per l'opportunità che mi ha offerto. Fare un lavoro che mi piace, avviare "da gggiovani" una impresa con i miei amici, restare in Italia a costruire qualcosa che sfama oramai un buon numero di famiglie.
Per me la Rete è sinonimo di opportunità, non di "rischi".
Non che non sia conscio dei pericoli. Ho due figli e sebbene siano ancora dei bambini (il più grande ha 10 anni) è inevitabile porsi delle domande e decidere la posizione da tenere. Se sia il caso o meno che maneggi in autonomia tablet e smartphone, se possa svolgere in autonomia "le ricerche su Internet" che gli affida la maestra (digitalizzazione dei nostri pomeriggi passati a ricopiare sul quaderno paginate tratte dall'Enciclopedia dei Ragazzi), se possa o meno giocare a Clash Royale in cui la chat tra i giocatori non si può bloccare (e la dolorosa decisione presa con lui è che non è il caso di giocarci, anche perché sarebbe vietato ai minori di 13 anni). E poi dei pericoli della Rete se ne sente parlare ogni giorno e tristi vicende popolano le pagine dei quotidiani.
Da queste considerazioni ne è nata, in un paio di nottate, la presentazione che è possibile visionare qui.
Ho deciso di affrontare il tema in maniera collaterale, senza aggirare il punto ma partendo proprio da quello che nella mia esperienza avrebbe rappresentato il rischio maggiore: usare male la rete e perdere una serie di preziose e irripetibili possibilità.
Ho scorso alcune delle opportunità offerte dalla Rete facendo seguire poi una serie di "utili consigli" da persona oramai "sù d'età" (ai miei occhi sono ancora un ragazzino ma per i quindicenni sono oramai un "signore") corredati di alcuni video "divertenti" e la chiusura sulla trasposizione dei "consigli della mamma" in chiave digitale.
Ero stato comunque rassicurato dalla professoressa sul fatto che i ragazzi approfondiranno presto i temi di sicurezza, privacy e le implicazioni anche penali di determinati comportamenti incontrando la Polizia Postale con il suo progetto sui pericoli della Rete e cyberbullismo, di cui conosco e apprezzo i contenuti, sebbene abbia avuto il sospetto che per il ruolo e i modi talvolta rigidi possa rendere i giovanissimi un poco refrattari.
Come è andata? Pare bene. Anche se mi è parso ancora più evidente, vedendoli in aula e provando a dialogare, che questi "nativi digitali" corrano dei rischi nella misura in cui sono circondati da adulti che, non conoscendo realmente la Rete, sembrano non prendere sul serio come i loro figli "passano il tempo" e di conseguenza li "lasciano soli" nell'imparare a giudicare gli strumenti e le informazioni. Solo quando genitori ed educatori supereranno la falsa concezione che "quella non è la realtà" e che le attività online siano sempre di "serie B" rispetto alla versione "reale" (non è forse Whatsapp un "muretto" presso il quale ci si raduna oggi come facevamo noi eoni fa?) che allora i ragazzi comprenderanno che un insulto online non è meno grave che detto in faccia, ma in più è potenzialmente pubblico e molto più amplificato.